L'impero del make up parla italiano Italia sforna top manager del make up

La bellezza è sempre stata italiana – Italia sforna Manager di top class per i marzi più ambiziosi del make up

E se vi dico Fabrizio Freda?

Con l’italiano Fabrizio Freda come CEO Estée Lauder ha visto le vendite nette aumentare in media dell’8% e la capitalizzazione della società è passata da 6 a 78 miliardi di dollari, i nostri manager continuano a essere scelti e apprezzati in tutto il mondo.
Del resto è made in Italy anche buona parte dell’industria della cosmesi.

In Europa oltre il 65% dei cosmetici venduti sono prodotti nel nostro Paese.
Secondo Cosmetica Italia, Francia, Germania e Stati Uniti da soli concentrano oltre 1,5 miliardi di export del settore, mentre Hong Kong e Canada crescono a doppia cifra. Aziende come la brianzola Intercos, guidata da Dario Ferrari, sono campioni globali: produce cosmetici in 15 stabilimenti nel mondo, fattura 780 milioni di euro, ha una quota export del 90% e sembra essere molto vicina alla quotazione.

A guidare sono gli Italiani?

Nelle multinazionali il nostro approccio si fa apprezzare perché guardiamo al risultato, siamo organizzati, logici, e soprattutto resilienti, spiega Filippo Manucci, arrivato in Alès Groupe (Lierac, Phyto, Jowaè) nel 2012 come amministratore delegato Italia e oggi salito fino a diventare il referente di tutte le filiali internazionali del gruppo. Manucci è un tipico italiano «da esportazione», passato in pochi anni da L’Oréal Paris a YSL beauté e poi rodato da quattro anni in LVMH, prima di approdare in Estée Lauder come direttore commerciale dove ha curato la start up Tom Ford Beauty.
Ultimo passaggio, il colosso nipponico della bellezza, Shiseido. Tornando ad Alès, «Alla fine degli anni Sessanta, la scelta del fondatore Patrick Alès di privilegiare soluzioni naturali negli anni della plastica e dei materiali di sintesi ha lasciato un forte imprinting e una storia straordinaria da raccontare — Mannucci riassume così la strategia del brand —La sua scomparsa, a maggio, proprio nel cinquantesimo del gruppo, è una spinta per continuare a innovare».

Alberto Noè: dal Food alla Cosmesi

Alberto Noè, basato a Parigi ha un percorso in Danone, L’Oréal, Lvmh e Chanel, prima di diventare , un anno fa, Chief Business Officer dell’area EMEA di Shiseido. «Per vincere in un contesto di un’azienda multinazionale bisogna ascoltare ed essere curiosi di comprendere l’enorme diversità dei modelli distributivi dei diversi Paesi spiega. Ma serve anche la capacità di creare e selezionare team ricchi di competenze diverse e forti valori umani: tecnicamente tutto si può insegnare, ma da un punto di vista di valori il bagaglio di ciascuno è qualcosa di unico».
Negli ultimi 24 mesi, l’azienda ha puntato molto sulla tecnologia come chiave per avvicinare i giovani alla cosmesi, acquisendo startup che con l’intelligenza artificiale rendono interattiva l’esperienza del trucco o del trattamento: make up e basi trucco virtuali e su misura. Recente l’acquisizione di Drunk Elephant, brand di skincare naturale che ha fatto sborsare ai giapponesi 845 milioni di dollari.

Cistina Scocchia – Kiko Milano

E tra chi tesse i destini della bellezza globale c’è anche Cristina Scocchia, oggi alla guida del gruppo milanese Kiko, 800 milioni circa di ricavi, business in 21 Paesi e più di settemila dipendenti, scelta da Antonio Percassi  (imprenditore e creatore di Kiko) anche in virtù della sua precedente esperienza in L’Oreal Italia. Nel ruolo di CEO, fino al 2017 ha guidato la filiale italiana con un piano di crescita attraverso nuovi prodotti, taglio dei costi e trasformazione digitale.

Marco Brandolini – Avon

Guarda a un mercato globale il general manager di Avon per l’area mediterranea Marco Brandolini. Avon ha un modello di business unico, che adesso Brandolini vuole rilanciare in chiave digital. «Con i social sui quali reclutiamo i nuovi consulenti di vendita che poi coinvolgiamo in sessioni corali di formazione», spiega il manager.

Che cosa accadrà nel 2020?

Molti nuovi brand sono nati per soddisfare le richieste di consumatori sempre più interessati a prodotti di nicchia, sostenibili e personalizzati.
Le startup seguono il modello direct-to-consumer per tenere bassi i costi e soddisfare le richieste. Per questo il sempre maggiore utilizzo di pop up store.
Ma in un mercato globale e ricco di grandi player, sarà l’anno delle acquisizioni, perché man mano che questi brand si fanno strada cercano capitali o grandi gruppi con cui accasarsi.
Viceversa, i big possono così sfruttare l’occasione per riconnettersi con i più giovani.

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